Marzo 9, 2015

Dimissioni di Rajendra Pachauri. Le cose non vanno tanto bene con il clima e non miglioreranno certo togliendo di mezzo autorevoli personaggi

A pochi mesi dal vertice ONU sul clima in programma a Parigi per la fine del 2015 l’economista e scienziato indiano Rajendra Pachauri, premio Nobel per la Pace nel 2007, si è dimesso da presidente del Comitato Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC). Lo scienziato è stato “spinto” alle dimissioni dopo esser stato accusato di molestie da una ricercatrice di 29 anni appena assunta, molestie che sarebbero consistite nell’invio di mail, sms e messaggi “indesiderati”.
Pachauri, che attualmente dirige l’Istituto per l’Energia e la Ricerca di Nuova Delhi, un’organizzazione promotrice di modelli di sviluppo praticabili e veramente sostenibili, ha respinto ogni accusa, dichiarandosi vittima di un caso di hackeraggio volto a screditarlo e costringerlo così alle dimissioni. Non è la prima volta del resto che il premio Nobel si trova nelle mire di chi vorrebbe allontanarlo dall’IPCC. Fra i suoi detrattori figurano i negazionisti dei cambiamenti climatici e/o coloro che negano che questi cambiamenti siano diretta causa delle attività antropiche. Ovviamente è solo una coincidenza che l’economista indiano sia stato uno dei primi scienziati ad allertare sui gravissimi pericoli derivanti dai cambi del clima e raccomandi il vegetarianismo praticato su scala globale come misura efficace per ridurre l’impatto ambientale derivante dall’industria della carne, concausa importante di questi nefasti cambiamenti. In un’intervista al settimanale britannico The Observer nel 2008 Pachauri, che segue una dieta strettamente vegetariana, dichiarava: “Se si vuole contribuire a diminuire le emissioni di gas «di serra» nell’atmosfera tutti dovrebbero osservare almeno un giorno «vegetariano» alla settimana”. All’intervistatore che gli chiedeva perché parlasse di alimentazione e di carne Pachauri rispondeva: “Parlo di carne proprio per parlare di clima. La produzione di carne infatti, oltre ad essere una importante fonte (diretta o indiretta) di emissioni di gas come l’anidride carbonica ed il metano, che si accumulano nell’atmosfera e la riscaldano è anche causa di altri gravi problemi ambientali, tra cui la perdita di habitat naturali”. Può sembrare curioso il nesso tra dieta e clima eppure Pachauri diceva una cosa ben nota e provata. Basta leggere il rapporto della FAO Livestock’s Long Shadow – Environmental Issues and Options (La lunga ombra del bestiame. Questioni ambientali e possibili opzioni) che, dimostrando come gli allevamenti siano una delle maggiori cause dei problemi ambientali recita: “Il 20 per cento dei pascoli è stata impoverita, compattata ed erosa dal sovrapascolo. Questa percentuale aumenta di molto nelle aree aride dove una gestione inappropriata degli stock di animali allevati contribuisce all’avanzata della desertificazione. La filiera zootecnica è uno dei settori che più pesano sulla crescente scarsità di risorse idriche contribuendo sia al loro prelievo che al loro inquinamento, per le deiezioni, i residui di antibiotici e ormoni, le sostanze chimiche provenienti dalle concerie, e, a monte, i fertilizzanti e i pesticidi utilizzati per irrorare le colture da mangime. Il sovrapascolo disturba i cicli idreologici riducendo la capacità di ricarica degli acquiferi di superficie e di falda. Si ritiene che il bestiame sia la maggiore causa della contaminazione da fosforo e azoto nel mar della Cina meridionale, una tragedia per la biodiversità degli ecosistemi marini. Oggi gli animali da carne e da latte rappresentano il 20 per cento della biomassa terrestre. E contribuiscono, con le loro esigenze, al declino della biodiversità: su 24 ecosistemi in crisi sottoposti ad analisi, per 15 il colpevole è lui, uno zoccolo o meglio tanti zoccoli o meglio chi li alleva e chi se ne nutre. La zootecnia in crescente espansione è divenuta un flagello mondiale di proporzioni epiche. I soli bovini stanno letteralmente divorando interi ecosistemi. Molte foreste tropicali, come ad esempio l’Amazzonia, vengono abbattute per far posto ai pascoli, che stanno erodendo ovunque anche le terre coltivabili, mentre le acque dolci rimanenti vengono contaminate dai rifiuti degli animali e dai pesticidi. Per evitare che la situazione peggiori ulteriormente, bisognerà dimezzare i danni ambientali prodotti da ciascun capo di bestiame” La FAO ha calcolato che circa il 20% delle emissioni globali di gas «di serra» imputabili ad attività umane provengono proprio dalla produzione di carne. E la produzione di carne continua a crescere, come del resto il consumo. In uno studio il WorldWatch Institute faceva un consuntivo: se nel 2007 la produzione mondiale di carne si aggirava sui 275 milioni di tonnellate e nel 2008 aveva superato i 280 milioni, a questo ritmo nel 2050 sarà raddoppiata. Di fatto attualmente il 75 % dell’ acqua dolce utilizzata, il 35% dei terreni coltivati ed il 20 % dell’energia sono destinati alla produzione di carne, ed i cereali usati ogni anno per nutrire bestiame o altri animali da “reddito” potrebbero sfamare oltre un miliardo di persone.

Assodato che l’allevamento del bestiame è responsabile dell’effetto serra assai più dei trasporti (per produrre un chilo di carne ad es. si crea una quantità di gas serra maggiore di quella che richiede un’attività evidentemente e pesantemente inquinante come guidare un Suv per tre ore, lasciando, nel frattempo, tutte le luci di casa accese) e dato che i sopracitati dati non sono mai stati confutati, ha ragione Pachauri dunque: mangiare meno carne farà bene al clima, all’ambiente, a noi stessi. Noi stiamo con Pachauri.

Onide Venturelli
Vicepresidente Associazione Vegetariana Italiana