Maggio 28, 2020

ATTUALITÀ

A fine febbraio 2020 il Presidente dell’Ordine dei Biologi, Dott. Vincenzo D’Anna, ha formulato un’ipotesi che, sebbene successivamente trascurata dalle principali testate giornalistiche, ha tuttavia suggerito una riflessione tutt’altro che trascurabile: a suo avviso, si sarebbe dovuta approfondire la possibilità che il ceppo di Coronavirus italiano, e in particolare lombardo, sia il risultato di una mutazione da altro ceppo, verificatasi negli allevamenti intensivi della regione Lombardia.

Se dal punto di vista scientifico la questione resta tutta da vagliare, si apre però uno scorcio di grande attualità sul rapporto tra alimentazione e salute, che supera abbondantemente la prospettiva individuale che normalmente vi si associa. Insomma, è lo spostamento del paradigma da: “mangio bene per tutelare la mia salute” a “mangio bene per tutelare la salute pubblica”.

Se è vero che diversi studi hanno prospettato l’interazione tra coronavirus e polveri sottili, come veicolo di trasporto, è d’altronde innegabile che lo smog, e le cosiddette “polveri sottili” in particolare rappresenti certo un fattore di rischio e aggravamento di qualsiasi patologia. Un virus che provoca affezioni di tipo respiratorio non può che provocare maggiori danni, se accompagnato da un’aria satura di sostanze tossiche e dannose per l’organismo.

Le ricerche condotte in Italia hanno attribuito agli allevamenti di animali a scopo alimentare ben il 15,1% della produzione di PM 2,5, cioè le polveri sottili che sono considerate tra gli inquinanti più pericolosi per la salute umana. Soltanto il riscaldamento delle abitazioni ne provoca di più, mentre il settore dei trasporti si attesta sul 9%. Già questa informazione dovrebbe indurre un serio ripensamento delle preoccupazioni per la salute pubblica, che normalmente spingono a prevedere blocchi della circolazione stradale, ma nessun intervento in ambito alimentare.

Ma c’è di più: già sul finire del 2019, la regione Lombardia aveva ottenuto dal Governo l’autorizzazione allo spandimento dei liquami zootecnici nel periodo invernale, in deroga alle normative vigenti. Ciò ha determinato la denuncia di Legambiente, che ha rammentato come tra Lombardia e Veneto si collochino ben l’85% di tutti gli allevamenti di suini e i 2/3 di quelli di suini d’Italia, e come la pratica di riversare durante l’inverno i loro reflui nell’ambiente provochi l’aumento degli inquinanti nell’aria ma anche nei terreni e nelle falde, con effetti deleteri per l’ambiente e soprattutto per la salute umana.

Di Carlo Prisco